I Batéké, o meglio Téké, costituiscono oggi, in Africa centrale, un grande insieme linguistico e culturale presente negli stati odierni dei due Congo e del Gabon.
Ma, in effetti, chi sono i Téké?
L’unico fatto certo è che appartengono all’ondata migratoria bantu e che forse s’insediarono dapprima nella zona riccamente irrigata intorno alle cascate del fiume Lefini, considerato tuttora santuario della divinità Nkwé Mbalì.
A ogni investitura di un nuovo Makoko (re), il rituale ci richiama in pellegrinaggio a quel luogo per attingervi l’acqua sacra che contiene l’energia del potere.
I Téké prendono le loro origini dalla trasformazione di una popolazione molto antica che talvolta viene perfino accostata ai Swa, ovvero i pigmoidi. Infatti, l’antropometria attribuisce loro le caratteristiche di un’etnia originaria. Ed è per questo che vengono inoltre perfino accostati agli uomini dell’era preistorica Sangoen dell’Africa centrale, risalenti a quasi 40 mila anni fa.
Non sapremo mai la verità, perché per troppi secoli la loro storia è stata tramandata per via orale o solo tramite i racconti di europei, sempre soggettivi, osservatori dall’esterno, pieni di preconcetti e paura.
La presenza, anche se residuale, di talune specie vegetali nelle nostre pianure fa pensare a foreste perfino anteriori, in quei luoghi. Le savane sono, in realtà, residui climatici del periodo pluviale precedente, in cui l’equatore era situato più a nord; quelle foreste si sarebbero costituite circa nel 2000 a.C. Questo dato implicherebbe che il cambiamento della savana in terreno debbiato fosse certo, che gli avi dei Téké fossero già presenti nella regione alcuni secoli a.C. A livello dell’attuale spazio congolese, costituiscono, ad ogni modo, lo strato più antico della popolazione, a cui emigrazioni di altri popoli sono venute ad aggiungersi.
Quando, alla fine del XV secolo, i portoghesi giunsero lungo le rive del Kongo, e penetrarono il regno, raggiungendone la capitale, le popolazioni indigene raccontano di una grande organizzazione politica, alla cui testa si trovava “un potente sovrano che regna su dieci vassalli. È il Regno di Anzico e i suoi abitanti sono gli Anzichi”.
Gli Anzichi vi resteranno fino al XVIII secolo, cambiando diverse denominazioni: Anzicani, Anzicheti, Anzicu, Nzikini, Nziniki, come se il popolo cambiasse di nome via via che la conoscenza dei visitatori si allontanava dalla costa e tentava di raggiungere il regno partendo “dall’Anzicana, territorio che confina a Nord con la provincia di Nsundi e che è separato dal reame di Kongo dal fiume Congo”.
Cosa sarebbe, quindi, il Regno di Anzico? Chi sarebbero gli Anzicani e le popolazioni che da loro derivano? “Bi asi… siamo originari di…” Ecco come si esprimevano i nostri antenati, e come ci esprimiamo noi, attuali abitanti degli spazi téké, ancora oggi, secondo quello che ci hanno insegnato i nostri nonni che lo hanno imparato dai loro padri.
Con la definizione “bi asi” gli uomini sottolineano la loro appartenenza totale a un gruppo preciso, in seno al quale sono garantiti solidarietà, sicurezza e affetto. Questo gruppo è unito dall’ereditarietà esogena, la cui più piccola unità, la mesnia, è sempre presente all’interno della comunità: un ricordo perenne e vivacissimo trasmessoci dai nostri genitori e, prima di loro, dai nostri nonni. È una famiglia allargata polinucleare, essenzialmente fondata sul matrimonio e la filiazione: Nzwo, l’ereditarietà bilaterale.
A livello di territorio, ciascuna diramazione di Nzwo corrisponde allo spazio sul quale gli uomini e le donne svolgono le diverse attività, necessarie a vincere la lotta della vita. Nsi è il territorio occupato originariamente dagli antenati – fondatori della parentela e dei legami di consanguineità che regolano il trasferimento dei diritti ereditari d’uso e di proprietà.
Ogni territorio, e cioè il Nsi, ha un nome tramite cui viene designato il gruppo ereditario che vi si collega: Ika:na. Il nome può riferirsi ad un sito geografico o anche al patronimico del suo fondatore. Può evocare un corso d’acqua o un tipo di vegetazione. Spesso richiama anche la natura del suolo, il suo potenziale agricolo o quello del sottosuolo. Riflette, talvolta, i livelli sociali o concetti del passato. La formazione dei toponimi è, perciò, molto varia, ed è proprio riferendosi alla denominazione del territorio che si definisce ciascun gruppo.
Personalmente, dal lato materno appartengo ai domini ancestrali di Ungia, A-nka e Ankiele. Dal lato paterno sono di Itulu, Untine e I-nzuo. Vi sono perciò tre generazioni di matrimoni fra gruppi intra-familiari, che mi imparentano a sei gruppi ereditari. Rispetto ai gruppi esterni, indichiamo noi stessi riferendoci, in base alla circostanza, a uno di questi nomi, preceduti da “a si” o “un si”, cioè “originario di…”
Perciò gli individui originari di Nko, territorio che si estende dalla sorgente del Lefini al Djoué, sono Asi-nko e gli appartenenti ad una medesima Ika:na sono Asi-ika:na, da cui i termini europei di Ansico e Asikana.
Gli uomini dicono che bia a Nzini, Nzikini, Nzinike, gruppi di popolazione ancora attualmente presenti nelle parti settentrionali e sud-occidentali del Congo o, in ogni caso, designati in quanto tali dai loro vicini, non sarebbero il risultato di corruzioni dialettali o anche di variazioni della denominazione unzizik, come vengono definiti, ancora oggi, gli abitanti della stretta pianura di Kuya per indicare i loro vicini e fratelli di Nziu, Asi-nziu, Asi-Nziki divenuti Nzicu nella denominazione coloniale.
Anziques, Nzikin, Anziki e altre definizioni sono, in effetti, deformazioni o variazioni derivate dal termine autentico Nzi. Perciò, con la manipolazione dei termini Anziques e Ansico, a loro insaputa, gli europei hanno enucleato una realtà trascorsa, che era sconosciuta alla loro cultura: la realtà di un grande popolo che occupava uno spazio antichissimo, ma ben presente e vivo nella coscienza collettiva delle masse. Questo popolo è effettivamente quello degli nzi, termine che esiste contemporaneamente in modo diffuso, in quanto è presente in Africa centrale, nei moderni stati del Gabon e dei due Congo. Se ne rileva la presenza e la vitalità nelle definizioni di Nzinziu nell’altipiano di Jambala, Nzikini nella pianura congolese, Nzinike lungo la direttrice Zanaga-Masuku, nonché Nzik o Nzing al centro del Congo, sulla riva sinistra; tutti questi gruppi indigeni hanno la conoscenza intuitiva di una comunità storica, culturale e linguistica.
Gli anziques risalgono effettivamente agli nzi. Il secondo termine sembra proprio essere quello reale, quello creato dalla storia, proveniente dalle viscere africane più vere e profonde, che la storia non è riuscita a conservare, ma che andrebbe recuperato.
È certamente meglio, quindi, ammettere la realtà, anche in assenza di collegamenti aprioristici, e proclamare che il primo, vero nome degli attuali téké o tio è proprio lo storico termine di “nzi”. Da dove altro discenderebbe, altrimenti, la definizione di “téké”?
Nel 1482 i primi europei bussarono alla porta del regno di Kongo. Qualche anno dopo, all’inizio del XVI secolo, vi introdussero la tratta degli schiavi. L’importante ruolo subito dai Téké in questo commercio è ormai ben noto. Il regno téké, infatti, è stato il più importante fornitore di schiavi. Si tratta quindi di gente che vendeva, ovvero nteke o ntenak, o, come essi stessi dicono, untio.
Ricondotta alla sua originale realtà, ritroviamo ora la definizione di anziquete e mundiquete citate nei termini seguenti: “d’altro canto, nella storia delle Indie, si rileva che le popolazioni in rivolta si chiamavano mundiquete. Si tratta di un errore di trascrizione, poiché i portoghesi le chiamano, correttamente, anziquete”.
Che esista o meno un errore di trascrizione, queste due nuove definizioni svelano il segreto della realtà storica, suggerita dal loro contenuto implicito. Mun-nzik + ete (ke)+ete: in questo caso siamo di fronte ad un miscuglio, fase finale dell’elaborazione fonetica dell’informazione, trasmessa attraverso i vari filtri e fasi informative, relativi al contenuto del concetto costituito dal termine “nzi”.
Il kongo è il mediatore, l’interprete, in caso di necessità. Il portoghese Odoardo Lopez ha riferito i fatti trascritti dall’italiano Filippo Pigafetta. Al triplo filtro umano corrisponde il triplo filtro linguistico.
Riconosciuti in quanto tali dai kongo, gli uomini che formano l’oggetto delle discussioni sono: a nzi (plurale), m’unzi (singolare). Il mediatore kongo ha assegnato loro un attributo: nteke, da cui m’unzi nteke al singolare e nzi nteke al plurale. Pronunciato da Lopez e trascritto, poi, da Pigafetta, il termine sarebbe divenuto “mundiquete”, o anche “anziquete”? Quindi, originariamente, sia gli u-nzi-nteke che gli a-nzi-nteke sono nzi, cioè dei venditori.
Gli nzi dell’acqua o del fiume, gli a-bali, vennero quindi scelti per gestire gli scambi, su entrambe le sponde, di cui restarono gli incontestati dominatori. In quei luoghi, gli uomini dicono di “vendere”, u-tio. Perciò il venditore diventa u-ntio o a-tio. In altre lingue si dice muteke, ba-teke, nteke, nteke. Fra il XV e il XVIII secolo si sono imposte queste nuove definizioni, che hanno progressivamente soppiantato l’uso dei termini originari di Anziqui e dei suoi derivati.
Il modo con cui le persone si sono fatte chiamare, da quel momento in poi, cioè nzi, è cambiato in funzione del rapporto con l”‘altro”, una situazione in cui sono stati identificati dagli stranieri. Nteke, nteka o a-Tio designano i medesimi uomini, chiamati anticamente anziques. Quindi, siamo di fronte al naufragio totale della denominazione nzi. Ciò coincide con alcune testimonianze orali, la cui importanza corrisponde all’integrità della citazione. Il passaggio da nzi a téké (variato poi in Te o Tege) coincide con l’arrivo nel 1913-14 della società concessionaria dei cinque fratelli Trechot nel Congo del Nord. Il passaggio da nzi a téké collima con l’identità che Lopez ha tratteggiato utilizzando mundiquete e anziquete per anziki fatta dall’autore H. Avelot nel suo Tour du Monde de Philibert, nel 1880, secondo cui “il nome Anzca, Angeka si è trasformato in nteke nel XVIII secolo, e in téké nel XIX”.
Infatti, alla fine del XIX secolo, l’Europa dello sfruttamento coloniale calpesta i territori dell’interno, la cui penetrazione era stata a lungo rinviata. Questi vengono spartiti fra 44 società concessionarie, tra cui quella dei fratelli Trechot che si specializzò nello sfruttamento dell’olio di palma. Gli itumbi, gli i-ngye e anche i mokeko conservano ancora il ricordo delle decine di ettari coltivati a palma da olio.
Poi c’è la storia, poiché nel corso delle campagne di sfruttamento, concepite formalmente per arricchire quella “Cenerentola” di colonie, un gran numero di nzi dell’ansa dell’Alima si trasferirono per vendere la loro forza lavoro e guadagnare il necessario per riscattare la capitazione instaurata nel 1904. Anch’essi divennero Téké.
“Nel periodo dell’arrivo dei signori Trechot nel Congo settentrionale, a Itumbi, il nostro antico nome era nzi (nzikini). Era il nome dei nostri avi e di tutti i Téké, dal Gabon fino all’Alima e a Osele, sul versante della Mpama. Anticamente, gli appartenenti al nostro gruppo erano piccoli come me, come il grande guerriero Nkabi. Il nostro nome nziniki e la nostra altezza erano risibili e ciò provocava scontri armati che fecero, fra di noi, molte vittime. Fu così che i fratelli Trechot decisero che da allora in poi ci saremmo chiamati Téké, perché la nostra lingua era la stessa dei Téké, che avevano incontrato a Brazzaville. Tenevano molto a che la loro società fosse al sicuro. Potemmo vivere in pace solo quando l’amministrazione ci registrò come Téké, e non più come nzi o nzinigi.
È stato così che si è imposto il termine “Téké” per designare il popolo che Pietro Savorgnan di Brazzà incontrò nell’ottobre del 1880 a Mbé: su questa terra è auspicato e atteso il riposo della sua anima, accanto ai suoi molti e veri amici.
Pietro Savorgnan di Brazzà, Makoko Iloo I - Una vita per l'Africa
2006 Roma, Parigi, Brazzaville
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