“… Il futuro del bacino del Congo, considerato in modo generale, dipende in parte dalle vie di comunicazione che si devono creare. … Io non so come e quando queste vie saranno create, ma posso affermare che un giorno certamente lo saranno...
“Considero l’Africa occidentale e il bacino del Congo una regione il cui avvenire dipende dal commercio e dalla cultura degli africani, non dalla colonizzazione dovuta all’immigrazione europea. Ci troviamo di fronte a una questione economica e sociale estremamente ardua.
“Dobbiamo dunque proseguire la nostra opera di studio e di organizzazione. E per continuarla nelle migliori condizioni possibili basterebbe impiegare una cinquantina di europei e circa duecento africani, con una spesa annua di circa un milione di franchi.
“Si tratta di fare un prestito a un futuro che credo sarà solvibile; ma è assolutamente necessario stabilire un serio programma d’insieme. In primo luogo si dovrebbe da oggi assegnare una serie di crediti successivi, assicurati di anno in anno. Senza un futuro garantito in questo modo, un programma completo di esplorazione e organizzazione non può essere eseguito e neppure preparato.
“Le ricchezze naturali di questo paese, meravigliosamente irrigato, sono considerevoli. Bisogna però andarle a cercare nel cuore del continente, incanalarle in grandi correnti e dirigerle verso la costa.
“Bisogna anche tener conto che certe colture, convenientemente curate sotto una latitudine che, pur essendo più vicina all’Europa, è tuttavia la stessa di Sumatra, del Borneo e del Brasile, potrebbero ancora aumentare le ricchezze naturali di queste terre.
“Senza parlare qui dell’apertura delle vie di comunicazione per le quali bisognerebbe provvedere in modo speciale, la raccolta dei prodotti del suolo e l’introduzione delle colture, rappresentano un impiego di mano d’opera considerevole, che non si può richiedere né agli arabi, né ai cinesi, né tanto meno agli operai di razza bianca. In questa terra nuova potranno acclimatarsi individualmente alcuni europei, ma l’europeo in generale e specialmente l’europeo del Nord, si trova in un ambiente sfavorevole al suo temperamento.
“Ora, questa mano d’opera noi possiamo trovarla sul posto, in popolazioni primitive, è vero, ma non prive d’intelligenza, e che sono facilmente trattabili per chi sappia usare nelle relazioni con esse molta fermezza, una benevolenza senza debolezza e una pazienza senza limiti.
“Se volessimo imporre bruscamente a questa gente i nostri regolamenti, i nostri modi di agire, di vedere e di pensare, arriveremmo infallibilmente ad una lotta, nella quale finiremmo per anniettarli. Anche a prescindere dalla questione d’umanità, la protezione degli indigeni mi sembra essere, in questo caso, l’igiene più sicura per la gallina dalle uova d’oro.
“Conosco meglio di chiunque altro le difficoltà di creare una colonia senza forzarne lo sviluppo, senza voler ch’essa rientri in un tipo determinato. L’alto commercio si guardi bene dal voler fare fruttare troppo presto un possedimento che, in verità, non conosciamo ancora a sufficienza, e di fronte al quale gli indigeni non sono ancora iniziati a quello che noi vogliamo da loro.
“Perciò la nostra azione, fino a nuovo ordine, deve tendere soprattutto ad introdurre gli indigeni alla possibilità di diventare agenti di lavoro; più tardi verrà l’europeo con la semplice funzione d’intermediario.
“Non potrò mai ripeterlo abbastanza: preparare un paese alla colonizzazione è un lavoro di tempo e pazienza. Quel che rimane dunque da fare è di estendere ai nostri possedimenti dell’Alto Congo l’azione che si esercita attualmente sulle rive dell’Ogoué; questo compito non può essere svolto in un giorno, né può essere adempiuto da organizzatori novizi, per quanto intelligenti e animati da buona volontà.
“L’influenza personale è grande maestra in queste questioni. Infatti piuttosto che influenze mutevoli e varie, sarà preferibile quell’azione continua e persistente degli stessi uomini, la quale presso i popoli primitivi, permette di raggiungere i migliori risultati. Questi popoli amano in primo luogo la bandiera per colui che la porta, tendono a personificare in coloro che conoscono l’idea vaga del paese lontano che essi rappresentano. Ecco perché bisognerebbe, per quanto possibile, che le stesse volontà fossero lasciate allo stesso lavoro, sugli stessi luoghi, le stesse dedizioni agli stessi interessi. La mancanza di continuità nei procedimenti usati nei loro riguardi determina rapidamente negli indigeni la perdita della fiducia, e dalla diffidenza alla paura e alla rivolta non vi è che un passo.
“Oltre che un cattivo sistema, la forza non può essere impiegata attualmente nelle regioni dell’interno. La presenza delle nostre cannoniere del Gabon sul Remboé e sul Como non hanno affatto influito sull’incivilimento e sulla pacificazione del paese. D’altra parte le rapide dell’Ogoué costituiscono, per questi ordigni di guerra, una barriera insuperabile. Quel che bisogna soprattutto temere è di rovinare in un giorno l’opera di dieci anni, perché l’intervento della forza in un’opera preparata con la pazienza e con la dolcezza può rovinare tutto in un momento…”
Pietro Savorgnan di Brazzà, Makoko Iloo I - Una vita per l'Africa
2006 Roma, Parigi, Brazzaville
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